#chiara n.22: cura
#chiara n.22: cura
[cù-ra] s.f. 1 Atteggiamento premuroso e costante verso qlcu. o qlco. SIN sollecitudine: c. dei figli; prenditi un po' più c. della tua salute; in senso non tecnico, amministrazione, gestione di qlco.: c. della casa loc. prep. a c. di, a opera di 2 Persona, cosa di cui ci si occupa: la sua unica c. è la famiglia 3 Accuratezza, impegno posti nell'eseguire un lavoro: lavorare con c.; riguardo, attenzione: maneggiare con c.
L’8 marzo è appena passato e con lui il riflettore che in automatico si accende sulla condizione della donna e che dopo 24 ore di clamore mediatico si assopisce come una bella addormentata. Un vaso di Pandora prontamente rinchiuso e sigillato.
È così che la parola cura ha fatto breccia in noi: la cura che mettiamo 365 giorni all’anno per accompagnarvi nei vostri percorsi di riprogettazione professionale, la cura per le parole che scegliamo per rispondere alle vostre mail, la cura nei contenuti che decidiamo di proporvi, la cura che portiamo avanti nel nostro lavoro con le istituzioni.
Cura: una parola che porta con sé un tocco di empatica delicatezza, una parola portatrice di carezze, troppo spesso all’anima degli altri mentre noi ci releghiamo in fondo alla lista.
Sbagliato pensare poi che questa parola sia solo legata alla maternità: immergiti con noi e se ti fa piacere facci sapere cosa ne pensi. Ti leggiamo volentieri.
In questo numero di Chiara trovi:
Alessandra Russomanno e il suo editoriale sulla cura
come nasce una doula: la storia di Beatrice Irene Gemma
Valeria Barani che ti parla di LinkedIn
semi di sorellanza? 3 profili da seguire tra meal preap, yoga e make up
due cose, ma proprio due, su lavoro di cura e carico mentale
un giro tra libri e qualche idea, out of the box, naturalmente
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.cura, un atto collettivo
Alessandra Russomanno - Narratrice di storie e attivista
La cura del mondo parte dalla cura per noi stesse.
Riecheggia in me questa frase di antica memoria, forse letta, forse ascoltata, di sicuro intimamente sentita. Se chiara è l’importanza di partire dall’individuale per arrivare all’universale, meno forse lo sono le ragioni, il processo, l’obiettivo.
Sono allora le PAROLE stesse ad aiutarci, in un viaggio all’interno del loro significato capace di rivelarci la natura dei pensieri e delle azioni.
Che cosa si intende per Cura?
Ne esistono tipi diversi?
Ma soprattutto, quale Cura per le donne?
.che storia quella di Beatrice!
Beatrice Irene Gemma, un passato nella cooperazione internazionale con progetti legati all’infanzia. Oggi di professione fa la doula: si prende cura delle donne che stanno per diventare madri, gemme delicate pronte a sbocciare. In nomen omen direbbero i latini.
Un sorriso accogliente che ti fa sentire subito a casa, occhi verdi cristallini penetranti, un cuore tosco-andino che si riflette nei colori sgargianti dei turbanti che indossa.
Beatrice Irene Gemma di professione ha scelto di essere una doula. Una decisione maturata naturalmente nel tempo. Una consapevolezza nata e cresciuta in Beatrice che l’ha vista unire gli elementi che da sempre hanno caratterizzato la sua vita privata e professionale: la cura nei confronti dei più piccoli, i progetti di cooperazione allo sviluppo dedicati al mondo dell’infanzia, l’interesse per una maternità vissuta in maniera proattiva, il diventare madre e la mancanza di reti di supporto genitoriale attorno a sè.
Dalla cooperazione internazionale al lavoro di cura
Prima di diventare doula, Beatrice si è occupata per anni di progetti di cooperazione internazionale nei paesi dell’America Latina. Una laurea in Scienze Politiche, sempre con la valigia pronta, ha potuto osservare da vicino come l’accudimento e la presenza materna fossero vissuti in maniera diversa.
Un’attività questa che la vedeva impegnata nel preparare progetti ma che in realtà non le permetteva di immergersi in prima persona.
“Avevo bisogno di toccare con mano quello che avevo sempre letto e scritto
ma non avevo ancora sperimentato fino in fondo.”
Nel 2015 diventa madre per la prima volta e capisce che anche da noi esistono delle povertà e dei margini di miglioramento nel vivere la maternità. Non ha reti parentali a supporto e insieme al marito costruiscono la loro storia di genitori.
È stato in quel momento che Beatrice scopre la figura della doula,
"una figura che ti può sostenere nel cercare la tua ricetta per sentirti protagonista della tua storia".
.chiaramente
Ma LinkedIn funziona davvero?
Se te lo chiedi spesso probabilmente il tuo profilo ha bisogno di un po’ di manutenzione. Foto, Headline e Riepilogo: scopri come ottimizzarli al meglio per dare un’accelerata al tuo profilo.
Se il tuo profilo LinkedIn giace sotto una coltre di polvere è arrivato il momento di tirarlo a lucido. Subito!
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#1 Scegli con cura la foto
Su LinkedIn non importa avere la foto bella ma la foto giusta. La foto ha come obiettivo quello di renderti riconoscibile in maniera professionale. È il primo e prezioso strumento di visual storytelling che contribuisce a creare la prima impressione nell’interlocutore.
Ancora peggio di mettere la foto sbagliata è non mettere una foto. Un profilo senza foto genera sospetto e diffidenza. Non solo, viene anche penalizzato nei risultati del motore di ricerca interno a LinkedIn, poiché viene considerato incompleto e poco efficace.
Allora, come scegliere la foto giusta per il tuo profilo LinkedIn?
I dettagli da curare per la scelta della foto LinkedIn
L’inquadratura. In generale è importante che sia una foto mezzo busto con una posa di 3/4, non perfettamente frontale ma dove si veda bene il tuo volto.
Il formato. Dal punto di vista tecnico, opta per un formato jpg o png con una dimensione consigliata di 400×400 pixel. La foto quadrata verrà ritagliata e apparirà tonda su LinkedIn.
La qualità. Non deve essere sgranata o pixelata, con una cattiva illuminazione, ritagliata da altre fotografie.
La data dello scatto. Deve essere una foto recente dove sei perfettamente rispondente alla persona che incontreranno al colloquio. Non una foto di 20 anni fa. No capelli biondi ora che sei tornata mora.
Lo sfondo. Deve essere il più possibile neutro, non deve dare nell’occhio. Il focus deve sempre essere il tuo viso.
La professionalità. La foto deve essere professionale: una foto scattata in vacanza o il giorno del tuo matrimonio non sono adatte al mondo LinkedIn.
Il dress code. Non necessariamente formale con giacca e camicia ma adeguato al tuo contesto professionale. Vestiti cioè allo stesso modo di come ti vestiresti quando vai al lavoro.
Il segreto in più? Sfoggia un sorriso convincente. Non ammiccante ma aperto e rassicurante. Devi dare l’idea di una persona con la quale si vuole avere volentieri a che fare.
Hai trovato l’immagine giusta? Prova a pensare se è l’immagine che vuoi dare di te al pubblico, se ti rappresenta e cosa racconta nello specifico di te. Buona ricerca!
.semi di sorellanza
Un like, una condivisione, un commento:
a volte basta poco per sostenersi a vicenda.
Ecco tre profili Instagram che hanno messo al centro del loro lavoro la cura.
Vuoi prenderti cura della tua alimentazione e ridurre il carico di lavoro che riguarda la preparazione dei pasti? Raffaella di Baby Green è la maga del meal preap: trucchi, consigli e organizzazione a ritmo di tabelle settimanali.
Uno spazio celeste dove ritrovarsi per praticare yoga e meditazione. Uno spazio dove coltivare la propria spiritualità. A guidarti c'è lei, Celeste.
Al grido di "il trucco c'è e non si vede" le Feltrin ti accompagnano alla scoperta del miglior make up per te. Effetto naturale garantito.
. per me le cose sono due
Apri il frigo e appare il deserto dei Tartari, in casa c’è la polvere che rotola stile Far West, il pediatra da chiamare per fissare l’ennesimo bilancio di crescita, il cambio armadio che incombe alle porte, bimbƏ numero 1 da portare a danza, bimbƏ numero 2 da scarrozzare a nuoto.
Mascherato sotto le mentite spoglie del multitasking, celebrato come la trasposizione figurata della dea Kali, lo chiamano lavoro di cura, si legge carico mentale.
E no, non è una questione che ci riguarda solo se siamo madri. Avere un compagno, avere dei genitori o dei parenti stretti di cui prendersi cura rientra in questa categoria di attività che, per quanto sia definito lavoro, non è retribuito. Non solo, se avremo la fortuna di raggiungere la 4° età potremmo diventare il lavoro di cura, e di conseguenza il carico mentale, di qualcun altro.
Insomma, il lavoro di cura è attorno a noi e anche se cerchiamo di respingerlo, ridurlo, allontanarlo, la verità è che si tratta di qualcosa che ci si appiccica fin dalla più tenera età per il semplice fatto di essere nate femmine.
È fatto della stessa pasta del fantasma che perseguita Virginia Wolf, a cui lei dà un nome, Angelo del focolare, una presenza subdola che le impedisce di lavorare e le si insinua nella mente. Cosa fa Virginia per poter lavorare? Lo uccide per legittima difesa. Una fine funesta per l’Angelo del focolare ma che ci dice quanto sia impegnativo fare la lotta con questo seme instillato nei secoli per cui se sei donna certe cose ti vengono naturalmente bene.
Non è solo qualcosa che ci raccontiamo: i dati parlano chiaro, il lavoro di cura è donna.
Di nuovo siamo più portate alla cura, all’empatia, all’ascolto dei bisogni altrui.
“In Italia, le donne svolgono 5 ore e 5 minuti di lavoro non retribuito di assistenza e cura al giorno mentre gli uomini un’ora e 48 minuti. Le donne quindi, si fanno carico del 74% del totale delle ore di lavoro non retribuito di assistenza e cura.” (fonte ilo.org)
Praticamente un part-time senza possibilità di interruzione.
Sì, è vero: il lavoro di cura fa sentire il suo peso soprattutto alle donne che diventano madri. I primi mesi sono i più difficili, tant’è che nel 2020, dei 42mila licenziamenti tra neo genitori, il 77 per cento è a danno di neo mamme che decidono di lasciare il lavoro per dedicarsi esclusivamente alla cura dei figli provate da un lavoro di equilibrismo. Perché sarà anche tutto un equilibrio sopra la follia, ma tolta la poesia della citazione, rimane la fatica, fisica e mentale, di arrivare a sera.
Francesca Bubba sta portando avanti la campagna Genitore è lavoro affinché l’atto di cura e di accudimento genitoriale venga riconosciuto come un vero e proprio lavoro, con tanto di indennità da privazione del sonno. Insieme al team di economiste e legali, Bubba ha fatto una stima di quanto valga il lavoro di cura e domestico: 6.971 euro al mese.
Mica bruscolini.
Il lavoro di cura si trasforma ben presto in un fardello da portare quotidianamente che ti fa arrivare a sera distrutta e che ha un nome, carico mentale. Lo racconta per la prima volta in maniera ironica ma con un’aderenza certosina alla realtà Emma Clit, ingegnera di giorno, fumettista nelle ore che le rimangono a disposizione, nel libro
Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano.
Come fare dunque per liberarsi del carico mentale?
Annalisa Monfreda ci ha scritto un libro invece di divorziare. Certo è che scardinare meccanismi richiede mettersi in uno stato di allerta continua per evitare di ricascarci alla prossima necessità famigliare e trasformarsi da angelo del focolare di vittoriana memoria in una moderna dea Kali, negoziatrice spietata pronta a ridiscutere costantemente la suddivisione dei compiti.
Del resto lo dice anche Emma, Bastava chiedere!
E allora facciamolo.
.book in the box
È possibile dare vita a una comunità di cura? In Manifesto della cura il collettivo inglese Care Collective prova a trovare la risposta. 4 i cardini fondamentali: il mutuo soccorso, lo spazio pubblico, la condivisione di risorse e la democrazia di prossimità per una cura che non discrimina nessuno e che sia fuori dalle logiche di mercato. L’obiettivo finale? La creazione di uno stato di cura che non solo crei infrastrutture di welfare dalla culla alla tomba ma generi una nuova idea di democrazia orientata ai bisogni collettivi.
Quanto spesso ci mettiamo in fondo alla lista delle priorità? Ma se fossimo figlie di noi stesse ci tratteremmo alla stessa maniera? Nicoletta Cinotti attraverso il suo nuovo libro Genitori di sè stessi ci prende per mano e ci offre uno strumento prezioso per diventare madri di noi stesse, sostituendo la critica e la punizione con atti di cura. Mindfulness, self-compassion, accettazione, conforto e perdono per riparare le ferite del passato e trovare nuova energia per affrontare il futuro.
Email, progetti di lavoro, testi del sito professionale, caption dei post, messaggi su WhatsApp: ogni giorno scriviamo miriadi di parole ma quanto siamo consapevoli della loro portata? Scrivi e lascia vivere di Valentina Di Michele, Andrea Fiacchi e Alice Orrù è IL manuale pratico da avere sempre a portata di mano per scrivere parole precise, sconfiggere gli stereotipi e i pregiudizi inconsapevoli. Perché prendersi cura delle parole che scriviamo significa creare una società più inclusiva e democratica.
.out of the box
“Non vedo l'ora di uscire con qualcuno la sera, indosso un reggiseno con ferretto."
Un evidente segnale di ritorno alla civiltà dopo mesi di allattamento: è questo che ci sta dicendo la protagonista Kate Foster di Workin’ moms, arguta commedia sulla maternità, divertente ma scrupolosamente realistica.
Schietta, politicamente scorretta e senza fronzoli racconta come la maternità sia un cambiamento travolgente e sconvolgente. Privazione del sonno, depressione post partum, rientro lavorativo, carico mentale: sono solo alcuni dei temi di cui tratta con una narrazione autentica che tiene al largo qualsiasi stereotipo.
Se non l’hai mai vista inizia ora: ci sono sei serie da recuperare prima che arrivi la settima. Su Netflix.
“Bastava chiedere!”
Emma Clit
.take care
In American English per dire arrivederci si dice take care,
ma per questa volta lo utilizziamo alla maniera italiana.
Abbi cura di te:
una piccola esortazione,
un invito gentile
per darti la priorità nel travolgente marasma quotidiano.
socializziamo
Speriamo di averti ispirato e come sempre, grazie di averci letto!
Se ti fa piacere puoi darci il tuo feedback scrivendo a dillo@pianoc.it o commentando i nostri post sui social. Alla prossima parola!
Piano C si occupa di formazione e sviluppo di carriera.
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#Chiara è un lavoro collettivo. A marzo ringraziamo:
Fabiola Noris curatrice - Alessandra Russomanno editorialista - Valeria Barani autrice box chiaramente - Beatrice Irene Gemma storia del mese - Laura Chiarakul grafica