#chiara n.18: nascita
#chiara n.18: nascita
/'naʃita/ s. f. [der. di nascere]. – 1. Il nascere, il venire al mondo di un essere umano, sia con preciso riferimento all’evento fisiologico del parto sia con sign. più ampio e generico, come inizio dell’esistenza di un essere umano: la n. del fratello, della sorella; attendere la n. del primo figlio. 2. a. In relazione con i sign. estens. di nascere, lo spuntare di organi vegetali: la n. del grano; la n. delle foglie, dei fiori; il sorgere di astri: la n. meravigliosa del sole (Buzzati). b. fig. L’inizio di una qualsiasi attività. [...]
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.nascite e rinascite
Maria Rossa - assegnista di ricerca in storia dell’arte contemporanea
Se Maria avesse potuto scegliere, sarebbe stata Madre del figlio di Dio?
In un saggio pubblicato nel 1972, lo storico dell’arte britannico Micheal Baxandall spiegava come davanti al dipinto di un’Annunciazione, il pubblico del Quattrocento fosse in grado di riconoscere negli atteggiamenti di Maria e dell’Arcangelo Gabriele quale momento del loro incontro fosse ritratto: l’arrivo dell’Arcangelo e il turbamento di Maria (conturbatio); la riflessione di Maria sul perché l’Arcangelo la saluti dicendole che il Signore è con lei (cogitatio); la domanda rivolta a Gabriele su come sia possibile che concepirà un figlio dal Signore (interrogatio); l’accoglienza della volontà di Dio (humiliatio).
Nonostante la raffinatissima ondulazione emotiva nella reazione della Vergine, manca in ella l’ombra di un rifiuto nei confronti del suo destino. La sua dimensione interiore è blindata entro un ventaglio di emozioni compatibili con la sua funzione.
Certo, direte, è ovvio: lei è Madre, è colei che accoglie e nutre, simbolo del sacrificio e di totale dedizione alla volontà di Dio. Un simbolo divenuto modello di maternità, di ciò che spesso ancora oggi ci si aspetta dalle donne in quanto madri: amore, dedizione, totale spirito di sacrificio nei confronti dei propri figli.
.che storia quella di Sonia!
In un suo scritto, José Saramago si chiedeva come possiamo noi oggi essere “persiani”, diversi, “altri”, quando il mondo cerca di convincerci che la cosa più desiderabile è la conformità.
È la domanda da cui parte la nostra intervista a Sonia Zahirpour, artista orafa che di persiano ha le origini, e di diverso lo sguardo.
Persia, non Iran: è così che il padre di Sonia chiama il suo paese d'origine. Preferisce evocarne la bellezza, i fasti, la storia millenaria. Vive la sua giovinezza all'epoca dell'ultimo scià di Persia; sono anni tutto sommato di apertura: le donne si vestono all'occidentale, vengono introdotti il suffragio femminile e il divorzio, inizia la modernizzazione.
Eppure la sua famiglia sceglie di trasferirsi: fa parte della minoranza ebrea, il loro posto è altrove, negli Stati Uniti per alcuni, in Italia per altri. In Puglia, invece, nasce la mamma di Sonia, di religione cristiana. Il loro incontro avviene a Milano, dove entrambi oramai adulti hanno iniziato la loro attività imprenditoriale: nell'arte dei tappeti orientali il padre, parrucchiera la madre.
“Il disegno era la mia parola”
Sonia cresce in questo incontro di culture e religioni; vive la sua infanzia sui fogli: osserva, rielabora, dà nuova forma. Bambina timida, si esprime con i disegni, che diventano la sua principale forma espressiva. Sente di aver trovato il suo linguaggio; sulla carta riesce a unire mondi diversi, a esprimersi liberamente.
Ma come spesso accade, il suo mondo si piega alla conformità: diventa piccolo, ordinario. Sceglie il liceo artistico, frequenta quello classico. Sogna Brera, si laurea in Giurisprudenza. Finisce con l'indossare bei completi, che non sente suoi.
Cambiar vita in tribunale
Un giorno Sonia si ritrova seduta sui gradini del tribunale; il suo cliente e gli altri avvocati sono dentro, lei è uscita, aveva bisogno di aria. È frustrata: continua a pensare che non è nel posto giusto.
Mette la mano nella tasca dei pantaloni di marca, e tira fuori un pezzetto di filo di rame che non ricordava di avere.
“Ho annodato al dito quel filo di rame, un raggio di sole lo ha illuminato:
ci ho visto un anello bellissimo, e in quell'istante ho capito.”
.chiaramente
Si sente dire spesso che quando nasce un* figli* nasce anche una madre; quanto è vero! Ci permettiamo però di aggiungere che quando nasce una madre, spesso, nasce anche uno stereotipo.
Uno degli stereotipi sociali che penalizzano di più le mamme è quello che, quando si diventa tali, questo ruolo diventi pervasivo e totalizzante al punto da annullare e cancellare tutti gli altri.
Come arrivare preparata al colloquio e anticipare gli stereotipi sulla maternità di chi fa selezione? Niente panico, gli stereotipi si possono smontare, facciamolo insieme.
Stereotipo sulla maternità #1: "Alle mamme del lavoro non importa più nulla."
Tradotto tutte le mamme vorrebbero lasciare il lavoro e dedicarsi alla famiglia: certo, diventare madre è un’esperienza totalizzante. A questo si aggiunga che nel 2021 la metà delle donne con almeno un figlio di meno di sei anni fra i 25 e i 49 anni non risulta occupata. Un dato che sembrerebbe confermare lo stereotipo della mamma che non vuole lavorare.
Quella che può apparire una scelta in realtà è spesso la conseguenza di un contesto sociale e culturale che fa ricadere il lavoro di cura solo sul femminile e non offre servizi sufficienti.
Non sempre infatti sono le mamme a non voler lavorare, ma spesso lasciare il lavoro diventa l’unica soluzione percorribile. Anche quando la donna ha ben chiara la consapevolezza che una scelta del genere sul lungo periodo potrebbe rivelarsi un vero e proprio boomerang.
Il consiglio: concilia lavoro e maternità, sul serio.
Se ne parla tanto ma il tema della conciliazione lavoro e maternità è un aspetto che deve riguardare la coppia. Non devi essere solo tu a sobbarcarti la gestione e l’organizzazione di tutto o il rischio di finire stramazzata al suolo per il troppo carico psicologico, fisico e mentale è più concreto che mai.
Immaginare nuove soluzioni condivise all’interno della coppia è fondamentale sia in tema di una suddivisione più equa del carico di cura e di gestione della casa, sia nello sfruttare laddove possibile il congedo parentale in modo diverso.
E una buona organizzazione condivisa del carico di cura ti consentirà, in sede di colloquio, di mostrare con sicurezza la tua passione e motivazione lavorativa, certa che a casa, come si suol dire, andrà tutto bene.
Stereotipo sulla maternità #2: "Le mamme scompaiono dal lavoro per mesi senza farsi più sentire."
Uno degli stereotipi legati alla maternità ha a che fare con i tempi e le modalità di rientro al lavoro dopo la nascita di un figlio.
Un timore diffuso è che una donna possa letteralmente scomparire per mesi e mesi, a volte dall’oggi al domani. Certo, anche se la legge la tutela da questo punto di vista, questo passaggio se mal gestito può generare un vuoto organizzativo difficile da gestire per il datore di lavoro.
Il consiglio: programma la tua assenza.
Fatto salvo il sacrosanto diritto di utilizzare pienamente gli strumenti previsti dalla legge, può essere utile e rassicurante fare emergere nel racconto di sé e del proprio percorso professionale quanto tu sia stata in grado, o saresti intenzionata in caso di nuova gravidanza, di tenere aperto un canale di comunicazione con il datore di lavoro.
Cosa significa in concreto? Pianificare gli step con congruo anticipo, per quanto sia possibile; comunicare in tempo utile eventuali deviazioni dal piano comunicato in precedenza, restare in contatto con colleghi per non risultare completamente spaesata al rientro.
Raccontare di aver fatto così in una precedente maternità, o di essere pronta a farlo in futuro, può sicuramente rendere più sereno l’animo del nostro interlocutore, senza ledere in alcun modo i tuoi diritti, i tuoi bisogni e quelli del neonato.
.natura_ciò che sta per nascere
La parola natura viene dal latino, e deriva dal verbo nāsci ‘nascere’.
E del verbo è il participio futuro, “ciò che sta per nascere”.
Shinrin-yoku (森林浴), da noi tradotto in bagno di foresta o forest bathing,
è un termine giapponese che indica la pratica terapeutica di immergersi
nella natura come antidoto alla frenesia della nostra quotidianità.
Secondo numerosi esperimenti e studi sul campo, il bagno nella foresta aiuta nella regolazione della pressione sanguigna, porta benefici al sistema nervoso parasimpatico e migliora le difese immunitarie.
Pronte a immergervi nella natura?😊
.books in the box
Come nasce un'idea? Quanta paura e speranza, quanti errori e ripartenze concorrono a costruire il nostro futuro? Dal Prometeo di Eschilo a La città di Dio di Agostino, dai disegni sul volo di Leonardo da Vinci a L'origine delle specie di Darwin, la storia del nostro futuro, e della nostra cultura, viene ripercorsa da intellettuali e interpreti del nostro tempo. Perché, come diceva Karl Popper, "il futuro è decisamente aperto. Esso dipende da noi; da tutti noi."
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Nascita. Un libro animato per esplorare le origini della vita di Hélène Druvert è un libro prezioso, di quelli che regali, che conservi, che condividi, per sapere tutto sulla gravidanza.
Doppie pagine animate con inserti e alette spiegano l'apparato genitale dell'uomo e della donna, la fecondazione, la divisione in cellule, la PMA, il patrimonio genetico, l'ecografia, i gemelli, la prematurità.
Generatività: si tratta di un termine che è stato coniato dallo psicoanalista Erik Erikson nel 1950 per denotare "l'interesse di stabilire e guidare la prossima generazione". Vi proponiamo un libro, che è un manifesto, e una provocazione, e che parla di "libertà generativa". Una libertà che insegue una speranza e sta in relazione con la realtà, con l'altro da sé. Un generare che è biologico e simbolico. Per tutte le menti generative all'ascolto! 💡
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"Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta."
(Alda Merini, “Vuoto d’amore”)
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#Chiara è un lavoro collettivo. A novembre ringraziamo:
Lucilla Tempesti curatrice - Maria Rossa editorialista - Cristina Coppellotti autrice box chiaramente - Sonia Zahirpour storia del mese